“Se le porte della percezione fossero purificate, ogni cosa apparirebbe all’uomo com’è, infinita” recita William Blake nel Matrimonio del cielo e dell’inferno. Ma perché le porte della nostra percezione siano mondate, prima vanno serrate per far sì che lo sguardo si sposti dall’esterno verso l’interno. La mente umana è la sede del pensiero e la scaturigine di tutte le facoltà intellettive, normalmente attiva nelle ore di veglia, sino a diventare molesta: solo durante la notte e in particolare durante il sonno, tali attitudini che possono diventare un ossessivo rimuginare, un brusio indistinto, uno sgradevole rumore di fondo, tacciono ed è il momento in cui si palesa l’anima che è ben altro dalla mente in quanto, non legata al corpo, è sostanza immateriale e principio di attività spirituale.
La breve, intensa lirica La notte lava la mente – del 1956, posta significativamente a chiusura di Onore del vero e, insieme, della grande sezione Il giusto della vita – nasce dalla meditazione dantesca di Mario Luzi. In questi versi la notte acquista una dimensione purgatoriale di profonda consapevolezza, sia della colpa che, greve come il masso che, simile a un incubo, opprime le ombre che girando in tondo sulla prima cornice del Purgatorio pregano incessantemente, sia della speranza se non della certezza delle stesse che, alla fine del loro lungo viaggio penitenziale, liberate dall’oneroso supplizio, possano accedere ad un luogo migliore.
La notte dell’anima per Luzi significa non solo rivolgere lo sguardo verso l’interno, ma chiudere le orecchie al vocio del mondo e a quello della mente. È un isolarsi e gradualmente fare silenzio tra un pensiero e l’altro, tra una parola e l’altra, per ritrovare in quelle pause l’essenza del sé che, contrariamente all’ego, concentrato com’è sul mondo esteriore, è lo specchio del divino che alberga in ogni essere umano. Questi, che dopo aver negato l’accesso alle percezioni sensoriali ha imparato a percepire con lo spirito, avendo perso, come le anime purgate, lo sgradevole senso di sospensione e di disorientamento, godrà della nuova esistenza. Una nuova esistenza come se si trovasse nel primo giorno della creazione, allorché sulla tabula rasa di una mente purificata incomincia a intravedere, orientando lo sguardo nella giusta direzione, nella foschia che va sempre più diradandosi, una parvenza di luce e un volo di gabbiani: l’anima che si libra verso Dio, dopo essersi affrancata dal carcere della colpa o da quello della mente.
Ed è impossibile, quando si parla di notte dell’anima, non fare riferimento alla Notte oscura di Juan de la Cruz, il mistico spagnolo del XVI secolo che delineando, tramite una profonda meditazione, la separazione dalla mente razionale attraverso varie fasi in ciascuna delle quali sperimentò intense estasi mistiche, accompagnate da pazzia, da drammatici stati di depressione e da un forte senso di isolamento – sensazioni mai provate nella realtà ordinaria – riuscì a creare un legame pienamente consapevole con il divino.
Antonietta Puri