di Elisabetta Biondi della Sdriscia
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Vola alta, parola, cresci in profondità costituisce, senza dubbio, il momento culminante della raccolta luziana Per il battesimo dei nostri frammenti, pubblicata nel 1985: una raccolta importante, punto di riferimento ineludibile per tutta la poesia successiva, nella quale si conferma la direzione evolutiva tracciata da Nel magma, con cui Luzi, nel 1963, aveva inaugurato il nuovo corso della sua produzione poetica. Il titolo della raccolta allude alla frammentarietà dell’esistenza e al moltiplicarsi dell’esperienza poetica nei frammenti che tale esistenza compongono, nonché alla necessità di un battesimo, di una purificazione, che renda possibile il recupero della totalità, della visione d’insieme.
In particolare, con i versi liberi di Vola alta, parola, Luzi ci invita a penetrare con lui il mistero della creazione poetica, momento che è, insieme, divino e umano, celeste e terrestre. “Vola alta, parola, cresci in profondità, / tocca nadir e zenit della tua significazione, / giacché talvolta lo puoi”: il poeta chiede alle sue parole di diventare Parola, di raggiungere, cioè, l’obbiettivo della piena significazione e, nello stesso tempo, di farsi spiegazione, testimonianza, proposta. Attraverso le antitesi – alta/profondità; nadir/zenit, punti diametralmente opposti e poli, non a caso, dell’emisfero celeste – e la bella allitterazione iniziale, Luzi ci indica quale compito, alto, ha per lui la poesia: quello di presentare e interpretare l’esistente, attraverso un linguaggio rinnovato, rivitalizzato. Non più, quindi una parola svuotata di senso, che nella sua astrazione ha perso ogni rispondenza nell’oggetto che essa nomina, ma, al contrario, una parola che acquista il massimo del significato, senza quella scissione con il significante, con l’oggetto rappresentato, che l’eccessivo uso traslato del linguaggio ha portato con sé.
Bellissime, pur nella loro semplicità di sermo quotidiano, le parole che alludono all’istante preciso in cui l’ispirazione poetica si manifesta e viene colta dal poeta, fino a quel momento inconsapevole: “sogno che la cosa esclami / nel buio della mente”! Luzi, poi, rivolge un’accorata supplica alla parola, alla sua poesia, perché nell’attimo che partecipa del divino della creazione egli possa essere presente in tutta la sua umanità, perché la parola non si presenti sola al celestiale appuntamento dell’ispirazione, perché solo così, in virtù della funzione salvifica della poesia, egli potrà riscattare il negativo, la violenza e lasciare agli uomini un fondamentale messaggio di speranza: “però non separarti / da me, non arrivare, / ti prego, a quel celestiale appuntamento / da sola, senza il caldo di me / o almeno il mio ricordo, sii / luce, non disabitata trasparenza”.
L’esigenza del poeta di essere presente con tutte le sue caratteristiche di uomo, di non essere in qualche modo escluso dal momento sacro della creazione poetica si manifesta con versi significativi, che si inarcano, si piegano sul verso successivo, attraverso una successione di enjambement, che finiscono con l’essere anch’essi espressione di quell’unione accoratamente richiesta. Quanta potenza espressiva Luzi riesce a infondere nelle sue parole, anche in quel penultimo verso, dove la parola luce, contrapposta alla disabitata trasparenza delle parole traslate, astratte, è contemporaneamente posta in rilievo, in quanto iniziale, e legata dall’inarcatura al sii esortativo del verso precedente!
Questa splendida poesia si chiude con una domanda che resta senza risposta, una domanda sospesa che esprime il dubbio tormentato di un artista instancabilmente alla ricerca della verità: “La cosa e la sua anima? o la mia e la sua sofferenza?”. Utilizzando il procedimento interrogativo già visto in altre sue liriche, Luzi si chiede, infatti, se la più profonda natura della poesia sia giungere all’anima, all’essenza più profonda delle cose o se non sia, invece, piuttosto quella di esprimere la sofferenza, delle cose e dell’uomo. Ma a questa domanda non può essere data una risposta univoca, definitiva.
Elisabetta Biondi della Sdriscia