La Passione secondo Luzi

di Duccio Mugnai 

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Nel suo lavoro poetico dedicato a La Passione di Cristo, scritto nel 1999, in occasione della Via Crucis al Colosseo di papa Giovanni Paolo II, Luzi si rivela ancora una volta interprete fedele e puntuale del mistero della salvezza, ma allo stesso tempo anche intellettuale capace di una riflessione estremamente personale e dolorosamente umana, proprio perché calibrata sulla vicenda storica e trascendentale di Gesù. Nei versi di Padre mio Cristo è rappresentato come risoluzione escatologica, punto di incontro tra Dio e l’uomo.

Gesù afferma che la terra è bella e terribile e che egli ci è nato quasi di nascosto, ci è cresciuto e ci si è fatto adulto in un suo angolo quieto, “tra gente povera, amabile e esecrabile”. Queste parole, che il poeta fa pronunciare a Gesù Cristo, ci richiamano alla memoria molti passi dei Vangeli: non solo la povertà e l’umiltà di Giuseppe falegname e Maria a Nazareth, ma soprattutto il momento della natività a Betlemme, quando i primi a ricevere l’annuncio della nascita di Cristo sono i pastori, che all’epoca erano reietti, emarginati, persone disprezzate, perché sempre a contatto con le bestie e quindi impossibilitati di compiere le abluzioni rituali ebraiche.

D’altra parte Luzi mette in rilievo anche la potenza della preghiera, ricordando come Gesù abbia vissuto nel deserto, in digiuno per quaranta giorni, lui stesso tentato dal male. Il Cristo evangelico e luziano è un uomo innamorato della vita, còlta nelle sue più umili manifestazioni: le strade, i poggi, gli uliveti, “i piccoli dell’uomo, gli alberi, gli animali”.

Come per tutti gli uomini, tanti sono i suoi dubbi sul suo operato, anche se, rivolgendosi al Padre, Gesù conferma il proprio amore affermando di avere una profonda, continua e forte nostalgia. Luzi evidenzia così il tema della kènosis, cioè lo svuotamento della propria divinità, che Cristo ha realizzato per assumere la forma di “schiavo obbediente e sofferente”.

La ricongiunzione con il Padre comporta una prova di amore infinito, filtrato attraverso una testimonianza viva e lacerante di angoscia, fatta di abbandono da parte degli amici e di dolore fino alla morte, secondo quanto Gesù aveva già presagito nel Getsemani. Inoltre c’è la vergogna provata sulla croce in cui Cristo testimonia la sua “nuda” fragilità umana. Con tocco finissimo, Luzi commenta l’esclamazione con cui Gesù si congeda dalla sua parabola terrena: “‘Perché Padre mi hai abbandonato?’ / È il suo ultimo grido umano. / È di uomo infatti l’estremo pensiero del Figlio dell’uomo sulla terra”.

La croce, oggetto di obbrobrio e di scherno, crudele strumento di mors turpissima come scrive Tacito, diventa simbolo di potenza: insegna l’umiltà e la riplasma alla luce cristologica, chiamando non solo il cristiano, ma ogni essere umano, chiunque sia e dovunque si trovi, ad amare il proprio “nemico”. Per questo motivo, come Luzi scrive in un altro testo de La Passione: “Dal sepolcro la vita è deflagrata. / La morte ha perduto il duro agone. / Comincia un’era nuova, / l’uomo riconciliato nella nuova / alleanza sancita dal tuo sangue / ha dinanzi a sé la via”.

Duccio Mugnai