Tra i membri della più prestigiosa istituzione linguistica italiana, l’Accademia della Crusca – nata nel lontano 1582 ed oggi con sede alla Villa Medicea di Castello (Firenze) – si annoverano, tra l’ieri e l’oggi, non solo importanti studiosi della nostra lingua, ma anche poeti di fama nazionale e internazionale: si pensi, per esempio, al seicentista Francesco Redi, autore del fortunato “Bacco in Toscana”, fino, riassumendo di molto, a due grandi nomi dell’Ottocento italiano come il poeta laureato Vincenzo Monti, e Giacomo Leopardi, i cui contatti con l’istituzione non sempre furono felici.
Alla persona dello studioso si affianca dunque tra gli Accademici della Crusca quella del poeta: e chi, se non meglio del poeta, crea testi e composizioni che testimoniano appieno tutta la vitalità della lingua materna, riuscendo a selezionare, nel suo magmatico lessico, le parole giuste per concetti, per rime, per assonanze? Anche i primi anni del duemila hanno visto, tra gli accademici tout court, la proclamazione di un poeta, di un grande poeta qual è Mario Luzi: eccolo apparire nella sala dei convegni dell’istituzione quel poco lontano 9 giugno 2003.
Sotto la presidenza di Francesco Sabatini, Luzi fu allora nominato accademico ordinario della Crusca, continuando così quella lunga tradizione che dal ’500 era stata avviata. Ed è bello ricordare alcune delle parole del suo discorso di ringraziamento: “La madre lingua a sua volta riceve e raccoglie l’effetto delle esperienze serie e perfino delle marachelle dei propri figli; si arricchisce di invenzioni, di trovate, di nuovi possibili costrutti, di significati transitori o improvvisi. Tiene conto di tutto, anche se molto sarà da buttare. È bonaria, parsimoniosa, non spreca niente la madre lingua; ma non è facilona, è anche gelosa di sé”.
La lingua, quindi, come serbatoio del tragico e del comico, del registro poetico e di quello impoetico; è l’espressione del serio e del buffo, ma allo stesso tempo costante aggiornamento di parole che traducono idee, concetti, assunti sempre nuovi. Ecco che è proprio in quella sua naturale bonarietà, ricordata da Luzi, che la lingua non pone limiti alle migliaia di possibili combinazioni, di infiniti suoi assemblaggi: con astuzia e capacità compositiva dell’autore-poeta, ma più in generale dello scrittore, essa regala e pretende, e per questo non è facilona. Deve in essa trionfare l’impegno etico, quello che ha contraddistinto l’intera opera luziana, dalle giovanili ermetiche rime implicitamente antifasciste alle ultime composizioni in chiave civile linguisticamente e sintatticamente più distese.
Matteo Mazzone